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Bobby, di Emilio Estevez, USA 2006.
Storia:
Dal ’60 al ’63, nel periodo in cui operò alla Casa Bianca quale Segretario alla Giustizia e consigliere presidenziale, rappresentò il volto determinato, collerico e vendicativo dell’Amministrazione Kennedy. Nel ’59 diede anima e corpo per la campagna elettorale di JFK. Tra il ’50 ed il ’54 fu il vice di Joe McCarthy nella “celebre” commissione anticomunista. Ebbe undici figli dalla moglie Ethel.
Ancora storia:
Robert Francis Kennedy, uomo politico, di ottima famiglia, candidato alle ultime primarie democratiche degli anni sessanta. Amato, amabile ed in cammino inarrestabile verso Washington. Il Bobby dei diritti civili, dell’opposizione al Vietnam, della retorica fluente ed evocativa.
Tra storia e mito:
Bobby, l’incarnazione della speranza diffusa, dell’ottimismo collettivo ed individuale, progressista, pacifista, eppur così umano, fatalmente Kennedy. Il bagliore in fondo al tunnel della politica statunitense.
Emilio Estevez, bravo attore, ancor più a suo agio dietro la macchina da presa, decide di battere una via ulteriore, personale, originale ed intelligente.
Il film narra il quattro giugno millenovecentosessantotto (il giorno dell’attentato), così come vissuto all’Hotel Ambassador di Los Angeles da alcuni ospiti dell’albergo, dai camerieri, dai lavoranti, dagli attivisti politici intenti nei preparativi per l’accoglienza del candidato, in un imponente e strutturato affresco alla Altman. Kennedy non compare che nelle scene finali: il regista preferisce descrivere la rifrazione della sua personalità politica nella vita dei protagonisti, quasi fosse una sensazione rilevante e palpabile. Niente politica, poca agiografia, nessun complotto. Solo una vigorosa umanità. Tutto ciò avviene - ed è questo che rende il film consigliabile - con una certa classe: la ricostruzione estetica degli anni sessanta è fine, la colonna sonora è degna (cito solo “Anji” di Simon e Garfunkel e “Spoonful” dei Cream), il cast eccellente. Voto: otto più.
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